sabato 31 marzo 2012

Primo post del sabato

Mi hanno appena fatto un'intervista sul libro Caffè a colazione (quello che riassume un anno e mezzo di blog)
In fondo quel mio esercizio un poco zen di fare un disegno al giorno (ci ho pensato per conto mio, ma non sono l'unica al mondo, c'è chi con questo metodo – però con 12 disegni al giorno –  ci ha fatto un'animazione!)
Insomma Marcella Brancaforte è l'anima e la mente che unisce da oggi 40 diari per immagini. Diari d'artista... diciamo così, o artigiani o creativi . Qui tutte le notizie sulla mostra, che si inaugura OGGI alle 18 a Viterbo.

e qui un po' di immagini, a partire dalle mie ;)


Insomma val la pena fogliare (e sì! si possono sfogliare e toccare) 40 mesi di marzo dipinti, incollati, pasticciati... consiglio e vi saluto. Che devo finire il mio!!!

Ma domani a ROMA alle 18 (sempre quello è l'orario) lezione esibizione disegno ballato da  BAUDOIN!

venerdì 30 marzo 2012

3 appuntamenti tra tanti

Domani a Viterbo mostra di diari disegnati (un sacco di artisti, in mezzo ci farò la figura della capra)
qui dura fin prima di Pasqua.

Domenica lezione visiva parlata disegnata e recitata da Baudoin (qui a Roma)

questo è invece una cosa ancora lontana, ma occorre prenotarsi ora: disegnare  a Napoli!

e ora a presto!

venerdì 23 marzo 2012

caffè (doppio, anzi triplo)

Questo di oggi è proprio in tema con l'ultimo post...
ieri.... eterni ritardi

il 21 la primavera era già arrivata

mercoledì 21 marzo 2012

VORREI SAPERE...

Nonostante la febbrile attività di tutti su internet (blog, forum e comunity d'ogni tipo) mi pare che spesso non so. 
Cioè anzi, io ne so abbastanza, seguo alcuni blogger, contatto francesi e spagnoli, ma – a parte l'enorme parte del mondo che mi è ignota – anche se ne so (superficialemte) più di molti altri, sento sempre che mi manca qualcosa. Fossero solo i litigi di RRobe che superano la mia velocità di informazione :D.
A parte gli scherzi, veramente spesso ho l'impressione che le cose che io so le so casualemente o per vie di conoscenze dirette.
Per esempio il concorso (peraltro molto ben pubblicizzato) eurHope, uno sguardo sul futuro dell'Europa, lo conosco anche perché sarò parte della giuria.

Mentre mi è sembrato casuale ricevere oggi su twitter, notizia di questo festival a Bari. Cui partecipano autori assai diversi... la cosa sembra divertente e spero si sappia molto bene.
Infatti non volevo parlarci di eurHope e di Ca.Co. (cartoni e comics) – ossia sì, volevo anche parlarne e partecipare alla diffusione – ma quello che mi passa per la testa è come informarsi, e come informare.

Da 10 anni faccio Scuola di Fumetto, e so quanto sia difficile ricevere (e ricevere in tempo) le notizie. Ma non è solo un problema nostro, lo è in generale.
D'altra parte è simile al problema di trovare un prodotto in edicola. O ne parlano tutti (diciamo che la tiratura è alta) oppure devi avere il culo di frequentare l'edicola giusta o il giusto blog... Molte notizie spariscono nello srotolarsi verticale della rete, e forse bisognerebbe pensare a un calendario/bacheca aperto a tutti. Non so.
Poi ci sono cose che non stanno appese con la puntina. Notizie che esulano dalla più piatta informazione, ma quello è un altro discorso. 
Mi sembra che poi questo si riallacci alla faccenda dei recensori. Non per unifaicare gli argomenti, ma perché viviamo in un mondo dove l'infrmazione è sempre più ampia, vasta, ma anche frammentata e veloce. 
La mia memoria si disperde in mile rivoli, la vostra non so, ma stiamo correndo dietro a informazioni che scorrono come le nuvole in quei bei cieli tempestosi

mercoledì 14 marzo 2012

Ti ricordi José?

Che bello, José Muñoz a Roma questa domenica. Lo spiego qua, nel blog di ComicOut.
Le cose coincidono sempre e odiosamente. Devo diventare una santa, e ottenner il dono dell'ubiquità.
Venerdì e sabato dunque sarò a Milano per Caroomics, Domenica mattina piglio il treno per arrivare in tempo all'Aiuditorium, fare anche un'intervista, magari berci un bicchiere assieme.

Perchè con Josè, beh, forse dire amici è esagerato, gli amici non ci mettono secoli  a vedersi, ma ci conoscevamo bene, e ogni tanto ci incontriamo nei luoghi più disparati (ma in genere fumettistici).
conoscevo Muñoz quando era quasi sempre con Sampayo e d erano quasi così, poco più...

Prima però lo avevo letto... mi ricordo bene Alack Sinner, quando diede scandalo su Linus perché si alzava e andava a fare la pipì... e si vedeva. seee, si vedeva... ecco qua:

D'altra parte José si ritrasse pure lui a pisciare, ma più discreto ancora :)

Erano gli anni neri dell'Argentina, quelli. Muñoz e Sampayo non erano gli unici argentini, Milano ne era popolata. Ma i più meravigliosi  a fumettare (e sì che l'Argentina ne è sempre stata colma, di grandi disegnatori) erano proprio loro due.
Poi si sono separati, solo perché la vita è così, si cambia. Ognuno faceva con altri, ma ne perdeva un poco.... credo gli mancasse la sua metà. Poi l'evoluzione è proseguita e la ferita si è rimarginata.

mi ricordo quegli anni. José disegnò (a colori) una storia milanese, sulla Milano che spariva e la Magolfa.

Ci torna al colore, e di solito sono tinte acide, accostate al nero del tratto.
Ma è indubbio che che la sua tinta è il nero.

L'avrà imparato da Pratt. Ha frequentato (mi pare, glie ne chiederò approfonditamente, domenica) la esquela Panamericana. Da Pratt e dai maestri di Pratt ha imparato molto.
Basta guardare questa sua vecchia tavola, dove ancora il suo tratto non si è fatto preciso, ma già striscia sotto le linee più canoniche.

Pochi anni fa (non così pochi ahimè) ero passata nella sua casa milanese (ma già abitava di più a Parigi) e ha donato la pubblciazione di un disegno per Terre di Mezzo, era sui sans papier... e la meraviglia era aprire la cassettiera enorme di metallo, da molto professionale da disegnatore, e vederne uscire mille foglietti  disordinati, mal ritagliati, anche un po'stroppicciati, ma tutti di una bellezza folgorante. E ricordo quel pomeriggio luminoso, la casa bianca  e quei segni neri che scaturivano senza fine, da ubriacarcisi.

Muñoz non si è mai fermato. Ha passato periodi quasi astratti, ha raggelato il segno ai tempi di Valvoline, ha accentato il grottesco. Muñoz cambia. Per questo ho voglia di incontratlo domenica, per trovare le differenze. Ma so che su una cosa non cambia. La sua natura, ironico, flemmatico e politicamente sempre acceso, José è sempre attento a quello che accade intorno, pronto a incazzarsi, a lottare, e anche a condividere speranze con i ragazzi dei centri sociali, con gli autori sperimentali, con i giovani. Per questo so che sarà una bella lezione.
(chi è a Roma venga  e poi non si perda Baudoin il 1° aprile... chi è a Milano può vedere le sue opere nella mostra Encres alla galeria Nuages)

sabato 10 marzo 2012

Mi ricordo...

Quando comprai il mio primo AlterLinus, alla stazione di Bologna, fu per una copertina del Garage Ermetico (credo), insomma Moebius. Non lo sapevo che era lo stesso di cui avevo letto con passione (mai più ritrovata) il Blueberry sul Corriere dei Piccoli. Un segno greve, selvatico, maschio e irto di tratteggi sporchi, una linea chiara, quasi femminea e limpida a creare volumi di cui si potevano intuire le ombre.
la sua Venezia è molto intelligente, la mancanza d'acqua sarà la sua morte.


Moebius, con doppia firma, doppio stile, doppio segno e doppie storie ha fatto parte di quel '68 del fumetto, quei cambiamenti che seguivi anche se potevi distaccartene, anche se non condividevi, erano.
Per me prattiana convinta, amante del segno spezzato della Nidasio, dei neri gocciolanti di Corto Maltese, Moebius era una strada diversa, che mi aiutò nelle difficoltà, soprattutto che cambiò la lettura.
Un nuovo pubblico arrivava al fumetto, un pubblico che prima non lo leggeva o lo aveva dimenticato, il vecchio pubblico non capiva, ma Moebius (e Bilala e altri, ma Moebius sopra a tutti) lo acchiappava alla gola col segno perfetto.
Moebius e il Giappone.

Di questo bisognerebbe parlare, Moebius e gli USA. Un uomo che mangiava frutta cruda, che raccontava storie improbabili, faceva al contempo storie di fantascienza, si alleava con vituperati supereroi, con manga allora ancora per ragazzini.
Aveva capito, o era goloso e saggiava tutto quello che la penna gli permetteva?
Davanti a Moebius spalanco gli occhi, tremo, non provo amore e partecipazione, venero. Capisco che è più in là, che ha sempre capito oltre, che forse non ha sfruttato a fondo a la sua capacità di capire e disegnare.
Moebius come un grande dio che galleggia nell'empireo del fumetto. Moebius come un anello infinito, una forma impossibile.
Moebius avanti, che dimostra la tavoletta grafica. 3 anni fa. pennino o tavoletta, carta o schermo, è lui che comanda.
Moebius come una vita umana resa rarefatta, resa china, tratto.
Infine ecco un disegno che gli dedico, solo per raccontare quella grande ombra che sempre ci ha seguiti dall'alto, a tutti, anche se non volevamo.

mercoledì 7 marzo 2012

SANDOKAN, anzi... SALGARI

Oggi Bartezzaghi su Repubblica mi ha battuta sul tempo.
Ma da un giocatore così, è un onore esserlo.
Tutto colpa delle altre cose da fare, che questo post me l'avevano lasciato sempre incompleto.
Così invece che ieri lo posto questa sera. E Bartezzaghi il legame l'ha già tracciato. Ma lieve, solo con un paio di parole.
Emilio Salgari vedeva il centenario della sua morte l'anno scorso. Ma Paolo Bacilieri è un autore meticoloso e distratto da molti altri impegni. Il suo dolce Salgari (ma poco dolce a dire il vero piuttosto dolce come il legno tenero, forse...) vede la luce adesso, da qualche giorno (e lo abbiamo visto dedicarlo con la consueta cura e eleganza durante BiBOlbul). 
Il legame curioso e casuale viene da un altro libro, che non è su Salgari, ma parla anche e molto di libri e autori e personaggi, oltre che di fantasmi. È l'ultima raccolta di racconti di Michele Mari , sempre ottima e ricca di suggestioni acute, di visioni torcibudella, sebbene più alterna di altri suoi volumi, meno compatta, forse perché fatta di materia volatile quali i fantasmi. Uno dei racconti è sull'autore di Sandokan, appunto.


E qui finisce il mio legame con l'esimio Bartezzaghi, che vi accenna e poi torna a parlare, e  a parlar assai bene, del Bacilieri.
Paolo – dice il critico – mette in atto il paradosso del geografo sedentario, del viaggiatore da scrittorio.
In effetti questa è da tempo l'immagine che noi conserviamo di Salgari. 
Paolo e Michele, di Emilio trattano questo in modo opposto. E poi trattano di quello che celebra il centenario: la sua morte.
Ma davvero non potevano essere più affini e complementari i due scrittori (l'uno delle parole, l'altro dell'arte sequenziale), nel raccontare il rapporto tra l'immaginario e concreto. Le meraviglie gloriose del fantastico e la miseria di una povera mediocrità ottocentesca italiana.
Bacilieri del narratore fantastico evidenzia la geografia colorata, le meravigliose descrizioni che hanno caratterizzato Salgari, minuziose e ricche come perle e sete. E queste parole immaginifiche si accostano ad altre realtà: Verona, Torino, Genova. Ricostruite anch'esse in modo prezioso, rese non dissimili dai miti orientali, eppure realistiche, tristi, povere, borghesi.


Mari racconta invece i personaggi. Racconta gli eroi tenebrosi e il sangue, le lame intarsiate e ancora il sangue. È quella vitalità diabolica che egli accosta magicamente a Emilio Salgari. Se Paolo è malinconico, e vede un esotismo che vive solo dentro un piccolo uomo buffo (e per questo anche tragico ed eroico in questi sogni che diventano lavoro), Michele rende grande e vittorioso lo scrittore veronese, dal naso tondo, i baffoni arricciati e la paglietta, che sembra un pupazzino nella graphic novel (del disegnatore veronese che vi si è un poco riflesso, mentre cercava di distaccarsi).




Ma entrambe le storie puntano verso la morte. E in entrambe l'ombra vi è dall'inizio. In una con la naturalezza, la follia, la normalità della vita schiacciata, nell'altra con l'eroismo e la crudeltà iniziale, e la morte come vittoria. Vittoria della carta e del povero uomo mai abbastanza remunerato e appagato.


La morte tragica ed eroica di un travet. La povertà di chi poteva essere ricco (come fu per Stanlio e Ollio, per esempio). 
Per Mari emerge il sangue della passione, e la forza della letteratura.


Per Paolo, che ha sviluppato la storia con maggior ampiezza e attraverso immagini più che mai contenute, distaccate, che mantengono i sentimenti fuori campo, tutto è inglobato in un'Italia ben lontana dall'essere festeggiabile nella sua nascita recente, con un re misero, una capitale triste, editori meschini, ospedali psichiatrici crudeli, ma una bellezza potente delle architetture e della natura. È quell'Italia di fine secolo, con i suoi esploratori suicidi, con i suoi eroi abbandonati, con i colpi di pistola facili a por fine  a una vita difficile.


Per una volta Mari appare allegro ed ottimista affiancato a Bacilieri.
E ho l'impressione che occorra leggere il racconto, dopo o prima del fumetto, che si debba leggere il fumetto, chiudendo le pagine del racconto. Che queste due storie si siano indissolubilmente, casualmente legate.
E che, dopo, occorra leggersi un Emilio Salgari, magari nelle vesti di Sandokan, o di Tremal-Naik.

E queste due opere le dedico a un amico scomparso, Carlos Trillo, e a sua moglie Ema Wolf (scrittrice). Diceva Carlos che come non avrebbe potuto innamorarsi di Ema, quando la conobbe, una ragazza che sapeva a memoria le prime pagine in cui appare Sandokan? e chi di voi non le ricorda, almeno sulla pelle?


La notte del 20 dicembre 1849 un uragano imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo. Nel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliati, mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe foreste dell'isola furiosi acquazzoni; sul mare, sollevato dal vento, s'urtavano disordinatamente e s'infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti con gli scoppi delle folgori. Nè dalle capanne allineate in fondo alla baia dell'isola, nè sulle fortificazioni che le difendevano, nè sui numerosi navigli ancorati al di là delle scogliere, nè sotto i boschi,nè sulla tumultuosa superficie del mare si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un'altissima rupe, tagliata a picco sul mare, brillare due punti luminosi: due finestre vivamente illuminate. Chi mai vegliava in quell'ora e con simile bufera nell'isola dei sanguinari pirati? Tra un labirinto di trincee sfondate, di terrapiedi cadenti, di stecconati divelti, di gabbioni sventrati presso i quali si scorgevano ancora armi infrante e ossa umane, una vasta e solida capanna si innalzava, adorna sulla cima di una grande bandiera rossa, in cui campeggiava una testa di tigre. Una stanza di quell'abitazione è illuminata, le pareti sono coperte di pesanti tessuti rossi, di velluti e di broccati di gran pregio, ma qua e là sgualciati, strappati e macchiati, e il pavimento scompare sotto un alto strato di tappeti di Persia, sfolgoranti d'oro ma, anche questi lacerati e imbrattati. Nel mezzo sta un tavolo d'ebano, intarsiato di madreperla e adorno di fregi d'argento, carico di bottiglie e di bicchieri del più puro cristallo; negli angoli si rizzano grandi scaffali in parte rovinati, zeppi di vasi riboccanti di braccialetti d'oro, di orecchini, di anelli, di medaglioni, di preziosi arredi sacri, contorti o schiacciati, di perle provenienti senza dubbio dalle famose peschiere di Ceylon, di smeraldi, di rubini e di diamanti che scintillavano come astri, sotto i riflessi di una lampada dorata appesa al soffitto. In un canto sta un divano turco con le frange qua e là strappate; in un altro un armonium di ebano con la tastiera sfregiata, e all'ingiro, in una confusione indescrivibile, stanno sparsi tappeti arrotolati, splendide vesti, quadri, lampade rovesciate, bottiglie ritte o capovolte, bicchieri interi o infranti e poi carabine indiane arabescate, tromboni di Spagna, sciabole, scimitarre, accette, pugnali, pistole. In quella stanza così stranamente arredata, un uomo sta seduto su di una poltrona zoppicante; è di statura alta, slanciata, dalla muscolatura potente, dai lineamenti energici, maschi, fieri, e d'una bellezza strana. Lunghi capelli gli cadono sulle spalle: una barba nerissima gli incornicia il volto leggermente abbronzato. Ha la fronte ampia, ombreggiata da due stupende sopracciglia dall'ardita arcata, una bocca piccola, che mostra dei denti acuminati come quelli delle fiere e scintillanti come perle; due occhi nerissimi, d'un fulgore che affascina, che brucia, che fa chinare qualsiasi altro sguardo. Era seduto da alcuni minuti, con lo sguardo fisso sulla lampada con le mani chiuse nervosamente attorno alla ricca scimitarra, che gli pendeva da una larga fascia di seta rossa, stretta attorno ad una casacca di velluto azzurro a fregi d'oro. Uno scroscio formidabile che scosse la gran capanna fino alle fondamenta, lo strappò bruscamente da quella immobilità. Si gettò indietro i lunghi capelli, si assicurò sul capo il turbante adorno di uno splendido diamante, grosso quanto una noce, e si alzò di scatto, gettando all'intorno uno sguardo nel quale si leggeva un non so che di tetro e di minaccioso.
- E' mezzanotte -mormorò. - Mezzanotte e non è tornato!

2 caffè

Pérec
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Dalla
http://caffeacolazione.tumblr.com/post/18789838213/solo-i-re-riempiono-cosi-le-piazze-ciao-lucio